Il parroco: no alla dieta vegana, si rischia l’anoressia
La notizia compare sul Gazzettino di Treviso qualche tempo fa, e l’eco del web la rimbalza senza particolari sottolineature. E’ invece significativa di un atteggiamento sempre più diffuso: sentenziare, oltretutto da posizioni pubbliche e di responsabilità, su argomenti complessi e questioni delicate senza averne la minima nozione, in base a semplici percezioni personali o a qualche sentito dire o leggiucchiato qua e là e subito preso per buono, da sfoggiare pro domo sua appena se ne presenta l’occasione. Et voilà: il parroco del Duomo di Castelfranco Veneto don Adriano Cevolotto ha negato la sala parrocchiale all’associazione dei Vegani Castellani per la presentazione di un libro. Fin qui, nulla di particolare. A far discutere e a scatenare reazioni e polemiche del tutto comprensibili è stata la motivazione addotta: il religioso ritiene che il veganismo e ovviamente il suo regime alimentare possano essere associati in qualche misura al rischio di anoressia, specie se vi si accostano le persone maggiormente soggette al disturbo, cioè gli adolescenti e fra essi le ragazze in larghissima maggioranza. Nessuna spiegazione né approfondimento, ad accompagnare il no alla richiesta di concedere la sala una laconica frase: «I comportamenti vegani possono causare problemi seri». I parrocchiani si allineano con la solita formula pilatesca: è una proprietà privata, ognuno ne decide come crede. E poi questi cosa vogliono?
L’associazione Vegani Castellani non ci sta, e definisce quantomeno singolare la presa di posizione del sacerdote, che comunque nemmeno replica e taglia corto temendo un’eccessiva e forse imbarazzante pubblicità: «Ho già risposto loro in forma scritta, non mi pare il caso di parlarne tramite i giornali». Ai Vegani Castellani tutto ciò non basta, non comprendono le ragioni del rifiuto e lo sottolineano pur senza alzare il tono della protesta. In un luogo di culto non sono bene accetti eventi estranei alla dimensione religiosa? Bene, lo si dica apertamente in questi termini; ma l’insinuazione farisaica, priva di alcun supporto scientifico né dato statistico, che un disturbo del comportamento alimentare di origine e dinamica psichica come l’anoressia sia riconducibile alla purezza della pratica e del pensiero vegano pare davvero risibile, velleitaria e tendenziosa, frutto di pregiudizio, superficialità e grossolana ignoranza.
Ehi, don, ma voi della cricca non dovevate occuparvi di anime? Sì, l’anima, quella che qualche devozione e torna immacolata. Ci avete lavorato per secoli. La concediamo anche alla donna? L’argomento va meditato, intanto appena osa alzare lo sguardo la si bruci. Ai negri no, niente battesimo almeno fino a quando sono schiavi, altrimenti il cotone chi lo raccoglie? E gli eretici? Un bel problema: cercano di scamparla mescolandosi agli altri, e noi dobbiamo far pulizia; vabbè, uccidiamoli tutti, Dio riconoscerà i suoi. Poveri e oppressi sono i nostri migliori candidati al paradiso, emanciparli sì ma con moderazione, sennò si esaurisce la materia prima, è su di loro che si regge l’intero baraccone. Gli animali? Neanche parlarne, è materiale inerte buono per la scienza.
Certo al tempo del latinorum il lavoro era più facile, tutto più rigoroso, oscuro e dunque mistico, l’ignoranza e il senso di colpa si maneggiavano meglio; ora il rito si è banalizzato, scambiatevi un segno di pace, qua la mano, che una lava l’altra. Ma ci si deve pur aggiornare, confrontarsi con la storia, il vanitas vanitatum prende piede, il relativismo, le apparenze, il godimento, l’effetto immediato, la tirannia dell’oggetto, l’individualismo dilagante.
Dunque, occupiamoci dei corpi, dei problemi della vita materiale, e di questi giovani così fragili e smarriti. Sposiamo l’interpretazione più tradizionale e conformista (il conformismo è l’ultimo comfort che la chiesa riesce a offrire): bando ai vegani, questi già sono magri, gli approviamo pure un regime così povero di proteine, finisce che schiattano. Dobbiamo prendere posizione.
Don, in tutta franchezza: la tua ignoranza è crassa, la tua inedia intellettuale clamorosa. Anoressia non è ricerca di una forma esteriore, di una bellezza estetica da perfezionare con il rifiuto del cibo e il digiuno; è anzi segno di crisi interiore, è domanda di aiuto contro il dolore di vivere e di accettarsi, domanda impossibile da verbalizzare e affidata al linguaggio universale del corpo. Il cibo non c’entra (capisci il doppio senso, sì?). C’entrano gli schemi familiari, le madri che si comportano da ragazzine, attente all’esteriorità, controllanti e prestazionali, che competono con le figlie; i padri in apparenza forti ma deludenti perché freddi anaffettivi assenti, lontani per lavoro e per pensiero, principi consorti imbelli che fanno le moine ma alla fine si schierano con le madri decisioniste. Di questo si tratta, il più delle volte. E come diceva Sartre, è il corpo l’oggetto psichico per eccellenza, anzi il solo oggetto psichico.
Lascia stare, don, non è roba per te la comprensione di queste dinamiche. Tienti i tuoi dogmi, le verità di fede a scapito di ogni conoscenza. C’è una magrezza scandalosa cui potresti dedicarti: popola l’intero terzo mondo e oltre. Nulla che fare con l’anoressia, piuttosto con le spaventose disuguaglianze sociali ed economiche che segnano come un marchio d’infamia questo nostro modo di vivere che ottusamente ci ostiniamo a chiamare progresso, cui ancora pretendete di indicare come consolazione il cielo. Il cielo è vuoto, don, inutile cercarvi risposte. La religione non serve più a vivere, a stento serve a non morire male e invano. Prova a occuparti di chi, lontano dal tuo sguardo, combatte con la fame ogni istante della sua esistenza. Magari ti va giù la pancetta.
Parole oltraggiose, ma non tali da scuoterti e indignarti, tanta è la tua misericordia. Sono blasfemo, miscredente, sono un arido materialista. Molto tempo fa ho pensato bene di darmela a gambe e lasciare il gregge per non finire arrosto con le patatine. E ce l’ho fatta. Amen.