Recensione del libro “Un’Eterna Treblinka”

Titolo: Un’Eterna Treblinka
Autore: Charles Patterson
Editore: Editori Riuniti
I° edizione italiana: Aprile 2003

Scrivere di “Un’Eterna Treblinka” di Charles Patterson dopo averne scovato in rete la splendida presentazione di Massimo Filippi può inizialmente far temere di non poterne scandagliare i risvolti con eguale profondità, già a partire dall’analisi dell’immagine di copertina dell’edizione italiana, col conseguente pensiero di non farne passare il messaggio peraltro già implicito nel titolo con altrettanta pacata incisività.
Nonostante ciò, una recensione che si smarchi solo formalmente da altre precedenti può sempre avvantaggiarsi di un linguaggio differente e, in questo caso, di una focalizzazione su pochi concetti essenziali: i più “scandalosi” e ostici da accettare nella società attuale, ma anche i più ovvi e logici e tutto sommato lampanti per chi ha occhi.

Immagine di ebrei e di galline ovaiole nei campi di concentramento

Due Olocausti

Lo “scandalo” maggiore – scioccante proprio perchè evidente – è la cancellazione dei margini fra l’Olocausto storico, prettamente umano, relegato ad un ben definito periodo e ritenuto dalla maggioranza della società “civile” evento irripetibile, e l’Olocausto che si perpetra e perpetua senza interruzione, in “eterno”, come suggerisce il titolo, nei confronti delle specie non umane, in virtù della loro arbitraria relegazione al rango di esseri “inferiori”.
Sebbene non vi siano evidenze razionali o scientifiche perchè questa misera considerazione dell’altro da sè trovi fondamento d’essere, il radicamento dell’idea di una netta separazione uomo/animale, anticipato dalla ferma volontà umana di distinguere e separare uomo e natura, è profondo e persino relativamente antico, sebbene in ogni ambito e periodo storico siano esisitite personalità che si sono apertamente opposte ad una concezione originata essenzialmente dall’umano desiderio di riscatto per l’avere rappresentato alle origini e per lungo tempo fragile ed inerme preda dei veri carnivori.
Dal Buddha a Plutarco, da Leonardo da Vinci a Montaigne, da Freud a Gandhi sino a Isaac Bashevis Singer, cui il libro è dedicato: tutta la storia è costellata da personalità coscienti dell’ingiustificata megalomania antropocentrica e dell’iniquità di un sistema distruttivo per la stessa specie umana.
Perchè, come riporta l’introduzione all’edizione italiana di Massimo Filippi, tutto l’esistente è diviso in “merce (…compresi gli animali e gran parte dell’umanità) e consumatori (gli individui umani che provvisoriamente sono titolari di un potere economico)” e, se esiste “la possibilità per alcuni componenti della nostra specie…di poter passare dall’uno all’altro dei due termini in gioco” e ancora “se tale interscambiabilità di ruoli è spacciata da alcuni come una conquista neoliberale, in realtà è la base della profonda insicurezza esistenziale del cittadino globale e, soprattutto, dell’inesorabile controllo di tutto l’esistente di un termine terzo e neutro, il profitto fine a se stesso”.
La questione abbraccia dunque confini più ampi del semplice “animalismo da salotto”e di “chi c’è nel piatto” e si estende ad una concezione di sfruttamento del mondo e dei suoi abitanti al fine di un “utile” che non è in realtà tale nè a lunga nè a breve scadenza, presunto fine che invece si rivela semmai arma a doppio taglio dalla quale nessuno può dirsi al riparo.
L’excursus storico di Charles Patterson, atto a scandagliare nello specifico l’aspetto del parallelo ricerca del profitto/supposta inferiorità degli oppressi in relazione all’ascesa delle idee nazionalsocialiste relative alla superiorità della razza ariana, fa riferimento alla domesticazione degli animali non umani risalente al periodo neolitico quale effettiva catastrofe anche per l’animale uomo, le cui abilità e la cui evoluzione, dovuta più che al consumo di carne al possesso del pollice opponibile ed ancor più alla conformazione della laringe che ha permesso l’articolazione di un linguaggio complesso, avrebbero potuto certamente essere superiori se non relegate ad una violenza degenerata in ideologia del dominio; stato, questo, apparentemente incapace di altra evoluzione e di reale miglioramento della qualità della propria e dell’altrui esistenza.
La schiavizzazione degli animali non umani e la degenerazione dei rapporti con essi e con la natura tutta improntarono sull’uso dell’altro e sulla ricerca dell’utile i rapporti fra gli umani stessi, presumibilmente originando la proprietà privata nel senso più gretto del suo significato, ossia di ciò di cui “altri” vengono, appunto, privati; la libertà innanzi tutto.
Un lessico mirato ad avvicinare agli altri animali, le cosiddette “bestie”, quella parte di umanità da sottomettere e sfruttare, unitamente all’impiego delle stesse tecniche di coercizione e controllo adottate negli allevamenti in ogni loro tipologia, hanno permesso il verificarsi di ogni forma di discriminazione, razziale e sessista in primis. Non a caso il controllo della capacità riproduttiva che prevedesse limitazioni e il largo impiego della castrazione dolorosa o amenità quali collari, catene a piedi/zampe o marchi a fuoco sono stati e restano elementi comuni in ogni forma di schiavizzazione.

Le religioni – soprattutto i monoteismi – nate in tali contesti patriarcali basati sul dominio e sulla violenza prosperarono proprio perchè innestate sul modello di una preesistente organizzazione sociale della quale dovevano giustificare e legittimare metodi e fini, e non a caso sono state tramandate quasi intatte sino ai giorni nostri, sebbene appaiano di chiara matrice umana e risultino avulse da qualunque ottica più logicamente universale e biocentrica.
Il testo di Patterson è corredato di numerosi riferimenti bibliografici e di innumerevoli citazioni da personaggi, detrattori o meno, dell’antispecismo più o meno consapevole, politico o empatico o di entrambe le nature.
Da Tommaso D’Aquino o Cartesio, capaci di argomentare contro ogni evidenza sull’incapacità degli animali non umani – e per estensione in molti casi anche di quelli umani – di provare dolore o di essere “razionali” (quasi che il livello di razionalità individuale corrispondesse al valore di un individuo e al suo direttamente proporzionale diritto alla vita) a personalità quali Ron Lee, fondatore dell’Animal Liberation Front, a Charles Darwin, grande osservatore della conformazione fisica e delle conseguenti effettive necessità alimentari  di ogni specie, a Carl Sagan, che concentrò i 15 miliardi di anni di vita dell’universo in un solo anno per fare comprendere come in quest’ottica tutta la storia dell’umanità di cui abbiamo traccia si riduca agli ultimi dieci secondi prima di Capodanno: sempre l’autore è puntuale nei suoi riferimenti e semplice e chiaro nell’esposizione.
La sua trattazione prosegue con gli accenni al colonialismo, possibile quale ovvia estensione dalla supremazia sull’ “animale” al “subumano”, ossia a quelli umani che per un insieme di mancate qualità ( per quanto fittizie e non essenziali come ragione, linguaggio, religione, cultura, usi e costumi) potessero essere relegati a sottostanti gradini e soggiogati senza remore.

Immagine di un cartello antispecista e di uno specista

Il linguaggio specista ai giorni nostri

La denigrazione degli uomini attraverso il paragone con la “condizione animale” non si è fermata neppure ai nostri giorni: Patterson vi dedica un intero capitolo: gli africani sarebbero stati – e talvolta si ritrovano ad essere – “stupide scimmie”, i nativi americani “bestie selvagge” o “porci” e “maiali” o quant’altro, i Filippini, secondo il generale Chaffee, “selvaggi” e “gorilla” e ucciderli, a detta di un soldato del reggimento di Washington, “era più divertente che uccidere conigli”. Durante la seconda Guerra mondiale i giapponesi divennero “cani gialli” e il loro popolo un “formicaio”; a loro volta i Giapponesi denominarono i cinesi “gregge di stupide pecore” e così via, passando dalle “termiti vietnamite”, agli “scarafaggi iracheni” fino ai “ratti ebrei”.

Viene da pensare che è poi cosa molto triste quanto controproducente il tentativo di coloro che, così denigrati, desiderino affrancarsi discostandosi dagli animali non umani ed anelino ad essere riconosciuti più simili ai loro stessi oppressori, accomunandovisi con sorprendente disinvoltura ed adottandone a loro volta le stesse qualità, lo stesso agire e lo stesso linguaggio rispetto a quanti essi vogliano, a loro volta e similmente, ritenere inferiori e sfruttare.

Come dire che la storia non insegna nulla se da essa non si vuole imparare.
Poichè invece è il sistema intero che può e deve essere modificato per un bene che possa dirsi effettivamente collettivo, occorre prendere chiare distanze dai metodi impiegati largamente dagli oppressori di ogni epoca, iniziando da quella attuale. Consci di come il passato sia costellato di esempi di sfruttamento dell’animale uomo verso animali non umani e umani, palestra l’uno dell’altro – e il libro di Patterson è estremamente preciso nei riferimenti di interscambiabilità di sistemi di tortura – è necessario, se si vuole salvare ambiente, compassione e quel poco di dignità che resta, cambiare mente e rotta.
D’altra parte esempi ce ne sono: tutti coloro – e di certo molti di più – le cui storie Patterson cita nella seconda parte del suo dettagliato saggio: storie di chi si è trovato in un campo di concentramento e sterminio e, essendosi salvato, sa bene che questo abominio non solo non si è concluso, ma che si perpetra ogni giorno, adesso, in tutto il mondo, su scala così grande da non potere quasi essere immaginata, senza ragione, senza scopo, senza senso, se non per il portafoglio di alcuni e l’abitudine all’indifferenza dei più.
Storie di ebrei e tedeschi che hanno visto chiaramente la connessione e la stessa sostanza del male applicata a sè e poi agli animali di altre specie, e che hanno deciso di continuare a lottare attivamente affinchè tutto questo possa, un giorno, finire.
Un finale, quello di Patterson, che lascia spazio ad un pensiero positivo; un modello di speranza e di azione che, ricordiamolo, se non viene abbracciato in tempi rapidi su larga scala, può essere l’ultima possibilità per il Pianeta e per tutti i suoi abitanti.

Immagine di una tavola di Roger Olmos

Disegno antispecista di Roger Olmos

Introduzione all’edizione italiana di Un’Eterna Treblinka a cura di Massimo Filippi

Per la copertina del libro: www.oltrelaspecie.org/uneterna-treblinka

Per l’immagine di To Animals all people are nazis: www.veganzetta.org

Per il linguaggio specista ai giorni nostri: foto di Sonia scaricabile e utilizzabile liberamente non a fini di lucro ad esclusivo beneficio degli animali non umani

Per il disegno di Roger Olmos: Pagina Facebook e video

 

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