Asti, 21 settembre 2014: il Palio
Asti, 21 settembre 2014. E’ il giorno del Palio.
Settimane di febbrili preparativi attorno al grande baraccone, azzardi di bilancio e sponsor che neppure questa volta scongiureranno l’ennesimo bagno economico, gonfaloni e stendardi a pavesare le strade, pubblicità e promozione a tappeto fra i ragazzi delle scuole, retoriche assortite per imbellettare d’antica gloria un’invenzione storica d’accatto, messe propiziatorie e benedizioni d’uomini e cavalli e se non basta siringhe di chimica più veloce del vento, scopiazzature senesi improbabili e forzate, il soldo ai fantini e le combines sottobanco, le cene nei borghi a rinfocolare stente rivalità di contrada, damazze e notabili in gran disfida per l’abito più ricco e la comparsata più vistosa, training di sbandieratori e tamburini, traffico bloccato, commercianti perplessi, turisti pochi e fai da te, camionate di terriccio, balle di paglia e transenne, pareti metalliche a inscatolare la scena madre ed escludere la città.
Oggi infine la farsa è apparecchiata, e si corre. Fate pure, as you like, ma siete patetici, più cercate di reggere la parte e più riuscite ridicoli, il vostro folclore così serioso e ammantato di nobili tradizioni e velluti e pose medievali è roba taroccata, siete un mondo finto che non vuol morire, questa non è capacità di rievocare la storia, è banalizzazione da strapaese, è citazione farsesca e provincialotta.
Purché la farsa non volga in dramma, perché sono i cavalli a correre e a morire, perché l’anno scorso ne è morto un altro, ultimo di una lunga serie, una fine orribile ancor prima di correre. Per questo sono qui. Sono venuto a manifestare in loro difesa e salvaguardia.
Sotto un sole umido e svogliato attraverso a piedi il centro e raggiungo il presidio: siamo a meno di cento metri da uno dei gomiti della pista approntata in piazza Alfieri, ma lo spazio che la questura ci ha concesso è angusto e chiuso fra alti palazzi e vie strette. A impedirci ogni movimento una ventina di agenti del reparto mobile di pubblica sicurezza, irremovibili ancorché tutt’altro che maldisposti. Siamo in tanti, eppure mai abbastanza: bisognerà urlare forte per far sentire il nostro pensiero.
Il corteo in costume si è già mosso dalla Cattedrale, e sta per giungere in piazza Alfieri per l’evento clou, l’atto finale sarà una stupida corsa di cavalli da vincere a ogni costo e mezzo, in questo teatrino cinico e baro l’unico elemento di drammaticità sarà il rischio che verrà imposto agli animali che galopperanno per voi, a costo del sangue e della vita, la loro.
Non sapete arrendervi, non siete in grado di diventare quello che già siete, la parodia di voi stessi. Incapaci di ironia e di autocritica, siete abbarbicati all’ignoranza e all’insensibilità più anacronistiche. Correte voi, o sostituite con la cartapesta le vostre cosiddette nobili cavalcature votate al macello. Altrove l’hanno fatto, a Lodi ci si diverte e nessuno si fa male.
La gente passa davanti al presidio e subito distoglie lo sguardo, o scuote la testa in segno di commiserazione, o si ferma e ci osserva come fossimo un acquario. Qualcuno più temerario ci insulta a mezza voce: buffoni sì, lo siamo, i buffoni sono sempre stati contro il potere; pagliacci no, i paliacci sono laggiù, paliacci e non paliotti.
Al balcone di uno degli eleganti palazzi che ci sovrastano compare una signora distinta, guarda giù dapprima sorpresa poi curiosa. Ascolta, legge i nostri striscioni. D’un tratto abbandona ogni sussiego e inizia a sbraitare contro lo struscio indifferente di corso Alfieri e lo spettacolo che più in là si consuma fra megafoni, botti, tifo di borghigiani, cadute di fantini, sirene d’ambulanza. Lancia urla che non comprendiamo e li accompagna con gesti volgari e inequivocabili, noi l’applaudiamo e le dedichiamo cori improvvisati e calorosi. Qualche questurino sorride compiaciuto.
Un ragazzo del palazzo di fronte scende a chiederci un manifesto, che dopo qualche minuto è affisso al suo balcone, la donna e il bambino sorridono con lui e ringraziano per le nostre ovazioni. Dal piano di sopra vola dell’acqua, fa caldo e non ci disturba, ma al brigadiere dalla faccia simpatica non piace per nulla, l’uomo che si affaccia è diffidato e anzi invitato a scendere, così ci si diverte un po’. Lui sparisce e chiude.
Due ragazzine con al collo i fazzoletti del borgo vengono a chiedere chi siamo e per cosa manifestiamo. Parliamo, spieghiamo. Sorridono, si tolgono i fazzoletti e si siedono per terra dietro gli striscioni della LAV, del Fronte Animalista, della Lida, dell’Una, dei Cani Sciolti, Animali Liberi.
Un bambino con bandiera rosso-gialla era nel parterre della pista, dopo l’ennesimo incidente della corsa ha voluto venir via, e ora vedendoci ha chiesto al padre chi sono quelli lì che urlano in difesa dei cavalli. Non rinuncia alla sua bandierina, ma si mette in prima fila insieme agli altri piccoli e ai cani.
Alla fine lo spettacolo si spegne tutto d’un colpo, scende il silenzio per le strade, c’è aria di stanchezza e noia, il pubblico smobilita in fretta, un giovane padre scappando via ci grida qualcosa sui bambini che muoiono di fame, un vecchietto fuori di testa ci assicura che i cavalli sono contenti di correre, lui lo sa, e anche le galline sono felici di buttarsi in pentola. Ma i volantini sono finiti, molta gente ha letto, qualcuno ci ha parlato, e si appunta un sito. Regaliamo ricette vegane agli agenti che hanno assaggiato la nostra torta al cioccolato, buonissima ma davvero senza burro senza latte?
Son quasi le otto. Sbaracchiamo anche noi, a presto, da qualche altra parte. Andiamo alle macchine senza incontrare quasi nessuno. Un cavallo è ferito, tutti gli altri incolumi. Dove saranno? Ora che li hanno usati, che fine faranno? Sarà un lungo cammino, un altro passo è fatto.
Si ringrazia per le immagini Nadia Zurlo, responsabile nazionale Lav settore equidi